Sergio Mannino Studio

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Remo Buti: Varie-Età (ITA)

Remo Buti: Varie-Età (ITA)

Remo Buti: Varie-Età (ITA)

Varie-Età è la più recente pubblicazione dedicata al lavoro di Remo Buti e in particolare ai vent’anni dedicati agli studenti dell’Università di Firenze. Il testo di seguito è la versione integrale del mio contributo al libro.

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Remo non parla mai di edifici come fanno gli architetti. Non parla mai di dettagli costruttivi, misure, altezze, travi, solai, porte… magari parla di porte che ti fanno entrare in luoghi speciali, come quella di fiori che disegnò per Modo tanti anni fa.

Remo racconta dell’architettura che ti invita a sederti in un angolo con due o tre amici per narrare delle storie, come fosse in quell’angolo la ragione vera del progettare e in quelle storie la vera essenza del costruito. Gli interessa la cultura di massa: i fumetti, le canzoni di Sanremo, il jazz americano che viene dalla pancia, le discoteche, i rave, i canti gregoriani nelle chiese buie impregnate di incenso, i concerti negli stadi, i playmobil, i puffi, gli gnomi di plastica dei giardini, le sorprese degli ovetti Kinder, i Pokemon, le sedie bianche da due euro, le lampade degli anni cinquanta che trovi nelle case dei nonni e i piatti di ceramica della pizzeria sotto casa. Con tutti questi oggetti e con i pensieri e i brividi che ognuno di essi si porta addosso, Remo disegna e costruisce interni, mobili, gioielli, modelli di ponti impossibili da costruire, case da mille e una notte, vasi e lampade, smontando e rimontando pezzi, sporcandosi le mani con schiume poliuretaniche, legni, vernici, pennelli e bombolette.

Le lezioni di Remo erano sempre al buio di una grande aula, di solito la Minerva in Piazza San Marco. L’unica fonte di luce erano le diapositive che ci proiettava sul grande schermo ma, a differenza degli altri professori, Remo non mostrava mai architetture e progetti costruiti, opere maxime di architetti più o meno famosi. Le immagini erano una porta (ancora) sul suo mondo magico fatto di case coloratissime, soffitti infiniti, lampade, sedie, valigie, facciate... Una serie quasi infinita di immagini di progetti degli studenti degli anni precedenti che lasciava tutti con gli occhi sbarrati a chiedersi se quegli interni fossero veri o no, tanto erano perfetti. Quei modelli erano uno sguardo in un altro mondo possibile, il mondo speciale che Remo ha costruito per tutta la sua vita e al quale, in modo infinitesimale, spero di avere contribuito anche io.

Remo in aula non insegnava mai l’architettura delle certezze, quella perfettamente inserita nel contesto, o quella fatta dai potenti che cercano ad ogni costo di lasciare un segno. Non gli è mai interessata l’architettura permanente, sicura di sé, qualcuno direbbe monumentale. Non insegnava soluzioni e tantomeno ha le risposte; e anche nell’ambiente conflittuale che era il dibattito di quegli anni, non esistevano progetti sbagliati, semmai solo e soltanto progetti stupendi.

Ci raccontava di come aveva progettato la sua casa dipingendo a spruzzo tutto di grigio, inclusi i mobili, i termosifoni, le pareti, le porte. In una casa tutta grigia il protagonista era la persona e il suo stato d’animo in quel momento. Il protagonista erano dei fiori gialli portati da qualcuno o i vestiti che indossavi quel giorno. “L’architettura sono io” ripeteva sempre.

Quello che voleva dirci era che l’architettura faceva da palcoscenico alle nostre esistenze e si faceva penetrare, avvolgere, trasformare, giorno dopo giorno e ogni volta in modo diverso.

Altre volte invece era l’architettura a trasformare le nostre vite perché era carica di colori, profumi, luci, finiture speciali che ti raggiungevano a livello sensoriale fin nelle viscere. E così progettavamo alberghi o giardini dalle infinite stanze, ognuna per un giorno dell’anno: una per entrare in trance, una per scoppiarsi i timpani con la musica a manetta, una per dormire, una per gli amori, una per i profumi inebrianti, una stanza per ciascuno di noi e per ogni possibile e impossibile stato mentale.

Mi sembra oggi di capire che a Remo sia sempre interessato più l’attimo evanescente della vita quotidiana che il monumento alle certezze, anche se quell’attimo alla fine produce inevitabilmente dei ruderi o delle rovine, come Rovine erano le ceramiche di Sottsass che ci mostrava periodicamente, leggendoci instancabile il bellissimo testo che le accompagnava.

Forse l’effimero degli interni che progettavamo con lui era una metafora della nostra esistenza e la loro bellezza stava proprio nel rappresentare quell’attimo.

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Remo Buti: Varie-Età (ENG)

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How To Design a Building Lobby With Your Brand in Mind

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